Con il sostegno di alcuni Paesi africani, l'Organizzazione delle Nazioni Unite si è impegnata, nel dicembre 2007, per una moratoria delle esecuzioni.
Ironia della sorte, è proprio l'esecuzione di Saddam Hussein ad aver rilanciato il dibattito sulla pena capitale presso l'ONU. Se Israele e l'Iran sono stati i soli Paesi a rallegrarsi pubblicamente della morte del rais, l'Italia, per voce del suo Presidente del Consiglio, Romano Prodi, è stata uno dei pochi a condannarla pubblicamente, ed a più riprese. È quindi naturale che il governo italiano, accedendo per due anni, in gennaio 2007, allo status di membro non permanente del Consiglio di Sicurezza dell'ONU, si sia impegnato a prendere un'iniziativa mirante a condannare la pena di morte. Una decisione che beneficia dell'influente appoggio del Portogallo, che ha assunto la presidenza di turno dell'Unione Europea il 1° luglio dello stesso anno.
Ciò non toglie che, aldilà delle pressioni, reali ma allusive, dell'UE sui propri partner per lo sviluppo – in particolare africani – per ottenere la loro adesione alla moratoria, la risoluzione dell'ONU ha ricevuto una grande maggioranza: 104 voti contro 54, e 29 astensioni. Un mese prima, l'adozione del progetto di risoluzione (per 99 voti favorevoli contro 52 contrari e 33 astensioni) in seno alla terza commissione dell'Assemblea aveva già rivelato che numerosi Paesi africani erano interessati dal fenomeno di crescente simpatia in favore della moratoria ed avevano inoltre fortemente contribuito alla riuscita positive del progetto, nello specifico attraverso una forte astensione.
Secondo il primo scrutinio, sui 192 Paesi membri dell'ONU, solo 52 continuano a sostenere attivamente il principio della pena di morte. Ma tra questi ultimi, non se ne contano più di dieci africani: l'Egitto, la Libia, il Botswana, le Isole Comore, l'Etiopia, il Malawi, la Nigeria, il Sudan, l'Uganda e lo Zimbabwe. Malgrado una legislazione non-abolizionista, e nonostante intrattenga rapporti sempre più stretti con i Paesi del Golfo – fortemente opposti al progetto -, il Marocco si è astenuto. Fedele alla sua strategia di elusione, la Tunisia non ha partecipato al voto. Ugualmente assenti: la Repubblica Democratica del Congo e la Somalia, come pure le Seychelles, la Guinea-Bissau ed il Senegal (tutti e tre abolizionisti di fatto). Oltre al Marocco, gli astensionisti africani sono stati 18 e vanno dal Ciad al Madagascar, passando per il Camerun, la Repubblica Centrafricana, il Congo, la Guinea Equatoriale, il Niger ed il Togo, senza dimenticare il Ghana, la Guinea, il Kenya, la Tanzania e lo Zambia.
Paradossalmente, questo miglioramento sul piano internazionale interviene su un contesto africano incerto, dove dei numerosi passi in avanti spesso procedono fianco a fianco con delle inquietanti ritirate. In materia di avanzata, da un lato, si conta certamente il numero crescente di Stati che hanno abolito di fatto la pena di morte in questi ultimi anni. Alla fine degli Anni '80, non erano che due in questa posizione: le Seychelles (1976) e Capo Verde (1981); oggi sono 14. Ultimi per data, il Ruanda (2007), la Liberia (2005), il Senegal (2004) e la Costa d'Avorio (2000) hanno raggiunto Gibuti, le Mauritius e l'Africa del Sud (1995), la Guinea-Bissau e l'Angola (1992), il Mozambico, São Tomé e Principe e la Namibia (1990). Chi sarà il prossimo? Le recenti evoluzioni permettono di sperare in progressi significativi, ossia un'abolizione totale, in Mali, in Gabon così come in Burundi ed in Marocco.
Altra nota positiva: se nessun Paese dell'Africa del Nord, al contrario dell'Africa australe, ha ancora abolito la pena capitale, il dibattito sulla posizione di quest'ultima nell'Islam progredisce (solo due Paesi a maggioranza musulmana, la Turchia ed il Senegal, sono abolizionisti). E secondo l'associazione Insieme contro la Pena di Morte (ECPM), gli appelli alla moratoria hanno trovato un eco molto favorevole presso il Gran Mufti d'Egitto, Sheikh Ali Jomaa, e presso il predicatore della catena televisiva Al-Jazeera, il Dott. Youssef al-Qaradawi. D'altra parte, dall'altro lato, la pena capitale è tornata la norma in numerosi Paesi sotto la copertura della recrudescenza degli attentati islamisti dall'11 settembre 2001 – nonostante si applichi di rado. Le condanne si moltiplicano. Da due anni, secondo Amnesty International, hanno avuto luogo in almeno una quindicina di Paesi africani, come l'Algeria, il Benin, la Tunisia, il Burkina, il Burundi, il Kenya, la Libia, il Mali, il Marocco, la Nigeria, la Repubblica Democratica del Congo, il Togo… Ma anche nei Paesi – meno numerosi – che continuano ad applicare queste sentenze, in primo luogo la Nigeria ed il Botswana – che praticano sempre delle esecuzioni segrete -, l'Egitto, la Guinea Equatoriale, l'Uganda, la Somalia e, soprattutto, il Sudan, che detiene la palma africana con almeno 65 esecuzioni nel 2006, che lo piazzano al quarto posto mondiale – ex aequo con l'Iraq.
Inoltre, indipendentemente dai progressi recentemente registrati in materia, l'abolizione della pena di morte non resolve tutto. "Il continente africano è molto lontano dal continente asiatico, che registra dei record macabri di esecuzioni, in particolare la Cina, precisa Michel Taube, scrittore francese e fondatore di ECPM. Ma siamo malgrado tutto preoccupati per l'Africa a causa del numero di assassini extragiudiziari". Un'analisi che l'evoluzione recente della situazione in Ciad o in Kenya, in particolare, conferma."
L'abolizione, di cui il presidente ruandese e leader del Fronte Patriottico Ruandese (FPR), Paul Kagamé, si diceva un fervente partigiano, era anche un'esigenza del Tribunale Penale Internazionale per il Ruanda che condizionava il trasferimento di alcuni sospetti alla giustizia ruandese.
Questa misura faro dello sforzo di riconciliazione nazionale ha riguardato direttamente circa 600 persone. Ma ha permesso anche, grazie ad un effetto a catena, di decongestionare le prigioni. In effetti, numerosi detenuti condannati ad una semplice pena d'incarceramento beneficiano da allora di una libertà condizionata."